APPUNTI SUL MEDIO ORIENTE
Ciao a tutti, ho fatto per voi l'operazione che, a quanto dite, non siete riusciti a fare da soli. Queste sono delle informazioni assemblate da più fonti Internet, che ci permettono di avere un quadro abbastanza esauriente e soprattutto aggiornato, anche se sintetico, della situazione dei paesi che erano oggetto di approfondimento. Ora non avete scuse!...
IRAQ - LE GUERRE DEL GOLFO
Prima guerra del golfo
La guerra del Golfo (2 agosto
1990 -- 28 febbraio 1991), detta anche prima guerra del Golfo in relazione alla
cosiddetta seconda guerra del Golfo, è il conflitto che oppose l'Iraq ad una
coalizione composta di 35 stati formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata
dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo
emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso dall'Iraq.
Il 2 agosto del 1990 il ra'īs (presidente) iracheno Saddam Hussein invase il
vicino Stato del Kuwait. Le ragioni dell'invasione vanno rintracciate su due
livelli: il primo, consistente in una prova di forza con gli Stati Uniti ed i
suoi alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata
avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq; il secondo
rivendicando l'appartenenza del Kuwait alla comunità nazionale irachena, sulla
scorta del comune passato ottomano e di una sostanziale identità etnica,
malgrado tuttavia l'Iraq avesse riconosciuto l'indipendenza del piccolo Emirato
del golfo Persico quando questo era stato ammesso alla Lega araba.
L'invasione provocò delle immediate sanzioni da parte dell'ONU che lanciò un
ultimatum, imponendo il ritiro delle truppe irachene. La richiesta non conseguì
risultati e il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti
della coalizione, penetrarono in territorio iracheno. le operazioni di aria e
di terra furono chiamate, dalle forze armate statunitensi, Operation Desert
Storm motivo per cui spesso ci si riferisce alla guerra usando la locuzione
"Tempesta nel deserto".
La prima guerra del Golfo fu anche un evento mediatico che segna uno
spartiacque nella storia dei media. Fu infatti definita La prima guerra del
villaggio globale.
Che gli interessi fossero ben altri da quello di restituire il Kuwait ai loro
proprietari se ne sente parlare tuttora, che l'operazione statunitense di
accaparramento di tutto il petrolio mondiale è in pieno corso.
È diventato sempre più fondamentale e importante
il ruolo dell'informazione mediatica nei fatti di guerra, al punto tale da
poter eseguire guerre di sterminio e stragi tremende con l'appoggio
dell'opinione pubblica, facendole apparire come operazioni di polizia mondiale,
ma che in realtà celano solo interessi economici ormai innegabili e non più
occultabili.
Seconda guerra del Golfo
Il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti
e la Gran Bretagna
cominciarono a bombardare l'Iraq di Saddam Hussein, accusato di possedere le
famigerate Armi di Distruzione di Massa (spesso definite anche armi non
convenzionali, come le testare atomiche e le armi batteriologiche, capaci di
uccidere una grande quantità di esseri viventi) e di finanziare il terrorismo
internazionale di matrice islamica
La guerra d'Iraq, o seconda
guerra del Golfo, iniziò il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di
una coalizione formata da Stati Uniti d'America, Regno Unito, Australia, e
Polonia, con contributi minori da parte di altri stati, tra cui l'Italia. Essa
era stata preceduta da una lunga ostilità armata (iniziata nel 1990 con la
guerra del Golfo) fra l'Iraq del dittatore Saddam Hussein e molti altri Stati
(USA in primis).
Le truppe della coalizione prevalsero facilmente sull'esercito iracheno, tanto
che il 1º maggio 2003 il presidente statunitense Bush proclamò concluse le
operazioni militari su larga scala. Tuttavia, nonostante numerosi Paesi si
siano uniti alla coalizione inviando contingenti militari, il conflitto prosegue.
Esso si è trasformato in una guerra civile[1] che vede da una parte le forze
internazionali e il nuovo governo iracheno (e le milizie curde e sciite che lo
appoggiano) e dall'altra un movimento di resistenza[2] forte soprattutto nelle
province centrali a prevalenza sunnita,[3] di cui fanno parte blocchi disparati
che vanno da ex-membri del partito Baʿ
th e dell'esercito, a gruppi religiosi, etnici o tribali e a
gruppi apertamente terroristici legati ad al-Qāʿida.
Il 14 dicembre 2003, la quarta
divisione di fanteria americana e i peshmerga (truppe paramilitari)
curdi catturarono Saddam Hussein (l'"Asso di picche" del famigerato
mazzo di carte con la faccia dei super ricercati del regime) nel villaggio di Al
Dawr, vicino Tikrit, nel nord del paese. Il 26 dicembre 2006, Saddam fu
condannato a morte per impiccagione dalla Corte d'Appello. Quattro
giorni dopo il 30 dicembre, alle 6 del mattino, ora irachena, fu eseguita
l'esecuzione, le cui immagini, riprese da un telefonino, fecero il giro del
mondo.
I tentativi di porre fine allo
scontro attraverso un processo politico (come le elezioni del 2005) non hanno
avuto esito: dopo la vittoria alle urne, sciiti e curdi hanno persino esacerbato
il conflitto introducendo nella nuova costituzione misure contrarie agli
interessi sunniti. I governi che si sono succeduti sono deboli ed incapaci di
controllare persino i propri sostenitori: gli scontri armati fra milizie
"filo-governative" sono frequenti. Questi scontri e quelli con la
resistenza sono accompagnati da episodi di pulizia etnica, che hanno spinto
alcuni milioni di iracheni a fuggire dalle proprie case.[7] Recentemente la
situazione irachena è stata resa ancora più intricata da alcune incursioni
turche nel nord del Paese, giustificate dall'asilo offerto dai Curdi iracheni a
membri di organizzazioni (come il PKK) che sarebbero responsabili di atti
terroristici in Turchia.
I costi umani della guerra non sono chiari: l'unico numero noto con una certa
precisione è quello delle perdite della coalizione (4.188 morti ed oltre 28.000
feriti fino al 1 dicembre 2007), mentre per le perdite irachene si va dai circa
30.000 morti cui ha accennato il presidente Bush in un discorso del dicembre
2005, ai circa 650.000 stimati in uno studio apparso nell'ottobre 2006 sulla
rivista medica Lancet.
Il governo iracheno attraversa
una grave crisi
politica che ha la sua base nelle antiche divisioni settarie e
religiose della società irachena. La crisi si è aggravata dopo la fine
ufficiale della missione militare statunitense nel paese, che ha
portato anche ad una nuova ondata di violenze e di attentati. Le bombe di oggi
sono state dirette alla comunità sciita del paese, che costituisce circa il 60
per cento del paese e che durante la dittatura di Saddam Hussein era
discriminata in favore della minoranza sunnita.
IRAN
Fino agli anni ’70 l’Iran era un regime
autoritario guidato dallo shah Reza Pahlavi
.
Nel corso del 1978, mentre a
Teheran si susseguivano le manifestazioni di protesta e gli scioperi, a Parigi
tutti i gruppi di opposizione si unirono in Comitato Rivoluzionario guidato
dall'Ayatollah Khomeini. Dopo aver tentato la repressione, lo Shah provó la
carta del dialogo, ma era ormai troppo tardi e l'ondata di proteste divenne un
movimento rivoluzionario. Nel gennaio '79 lo Shah fuggì all'estero ed il primo febbraio l'Imam
Khomeini tornò dall'esilio in Francia accolto in trionfo dalla folla. L'11 febbraio
le Forze Armate iraniane dichiararono la loro neutralità e in tal modo
segnarono la vittoria della rivoluzione islamica. In questa data è
oggi celebrata la festa nazionale della Repubblica Islamica d'Iran.
Dal 1980 al 1988 il Paese è
costretto a fronteggiare l'aggressione dell'Iraq di Saddam Hussein. Il
dittatore iracheno, pensando che la rivoluzione e le epurazioni dei vertici
militari persiani abbiano molto indebolito l'Iran. Alla morte di Khomeini,
avvenuta nel 1989, il suo ufficio di "Guida Suprema" della
Rivoluzione Islamica viene assunto dall'ayatollah Ali Khamenei.
In risposta al programma nucleare iraniano l'Organizzazione delle
Nazioni Unite ha approvato a più riprese sanzioni di varia natura nei suoi
confronti. Nel giugno 2010 anche gli Stati Uniti d'America dell'amministrazione
Obama hanno approvato sanzioni unilaterali verso l'Iran.
L'Iran si è già dotato da una
ventina d'anni, ufficialmente a scopi civili, di centrali nucleari con
tecnologia principalmente fornita dalla Russia, allo
scopo di ridurre la sua dipendenza dal petrolio (l'Iran consuma ad uso interno
il 40% del greggio che estrae). L'accerchiamento americano dell'Iran (gli Stati
Uniti hanno basi militari ed aeree in Iraq, Turchia,
Afghanistan
e Pakistan)
ha portato il governo iraniano a decidere di arricchire da solo l'uranio usato
come combustibile nelle proprie centrali nucleari: decisione che vari paesi
temono possa nascondere un tentativo di costruzione di armi nucleari.
Ciò, insieme alle dichiarazioni fatte del presidente Mahmud Ahmadinejad circa "la sparizione
dalla carta geografica dello Stato di Israele" ha provocato la reazione di
Israele e di quella parte della comunità internazionale che sostiene fermamente
lo Stato ebraico, originando una crisi dagli sviluppi che sono impossibili da
prevedere. In proposito, Mahmud Ahmadinejad sostiene il diritto dell'Iran ad
avere la propria tecnologia nucleare, così come ne dispongono molti altri paesi
(Europa, USA, Israele, Cina, Giappone, Russia, ecc.).
In seguito alle elezioni
presidenziali del 13 giugno 2009, vinte ufficialmente da Ahmadinejād, ma sulla
cui regolarità l'opposizione ha espresso forti dubbi, la tensione sociale del
paese è notevolmente aumentata, sfociando in manifestazioni non autorizzate e
scontri di piazza, con un numero indefinito di morti provocato da un intervento
delle forze dell'ordine, giudicato eccessivo all'interno dello stesso Governo,
affiancate da un discreto numero di pasdaran
e basiji.
In risposta al programma nucleare
iraniano l'Organizzazione delle Nazioni Unite
ha approvato a più riprese sanzioni di varia natura nei suoi confronti. Nel
giugno 2010
anche gli Stati Uniti d'America dell'amministrazione
Obama
hanno approvato sanzioni unilaterali verso l'Iran
LA SIRIA OGGI
Nella prima metà del 2011, a seguito della
cosiddetta Primavera Araba, anche la Siria viene coinvolta in
manifestazioni contro il governo di al-Asad. Le proteste, iniziate nel Sud, al
confine con Israele,
si sono espanse lentamente in tutto il Paese, fino alla capitale. A giugno 2011 le proteste sembrano
attenuarsi in seguito a scontri cruenti con lo Stato siriano, e diversi
esponenti riparano in Turchia, con grande preoccupazione del premier turco Erdoğan.
I gruppi per i diritti umani
parlano di 1.300 vittime tra i manifestanti e 300 tra le forze dello Stato
Siriano.
Attualmente le vittime sono salite a circa 5800 morti di cui 3800 civili e 2000
militari. Due risoluzioni di condanna del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sono
state bloccate dal veto di Russia e Cina nell'ottobre 2011 e nel febbraio 2012.